In tutto il mondo una delle prime cause di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio compiuto spesso da persone conosciute, in particolare mariti, compagni, partner o ex partner. E l’Italia non fa eccezione: l’omicidio è la più grave di una serie di violenze che molte donne subiscono durante la loro esistenza. Secondo l’Istat, nel paese una donna su tre ha subìto qualche forma di violenza nel corso della sua vita, specialmente in famiglia.
La violenza di genere è un fenomeno strutturale e diffuso, ma ancora in gran parte sommerso. Sempre secondo l’Istat, solo il 12 per cento delle violenze è denunciato. Anche per questo dal 2017 in Italia è stata istituita una commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio che ha l’obiettivo di studiare quali sono i meccanismi che legittimano e alimentano la violenza sulle donne e di elaborare strategie e politiche per contrastarla. Anche le violenze commesse da sconosciuti o da persone con cui non si è legate da relazioni affettive sono più gravi. In sostanza, sebbene la violenza nel complesso sia diminuita, non solo non se ne intaccano le forme più gravi, ma la sua intensità aumenta.
C’è in generale una maggiore consapevolezza delle donne, che ne parlano più spesso con qualcuno e si rivolgono di più ai centri antiviolenza, agli sportelli o ai servizi contro la violenza sulle donne (dal 2,4 per cento al 4,9 per cento). Inoltre, nonostante si continui a denunciare poco, lo si fa più che nel passato .
Le leggi contro la violenza
Il codice penale italiano è del 1930 (scritto da Alfredo Rocco, ministro della giustizia nel governo Mussolini) e riflette una concezione autoritaria del rapporto tra lo stato e i cittadini e un’impostazione basata sulla subalternità delle donne rispetto agli uomini. Nel corso del tempo si è cercato di adeguare il codice penale grazie a lunghe battaglie e rivendicazioni, con norme che tenessero conto delle sentenze della corte costituzionale e con leggi che rispondessero di più ai cambiamenti e alle rivendicazioni sociali e infine che adeguassero il codice agli obblighi internazionali come l’adesione alla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011.
In particolare, in Italia c’è stata molta produzione legislativa su questo tema tra il 2009 e il 2015. I primi interventi di correzione al codice Rocco in tema di violenza di genere sono stati fatti dalla corte costituzionale con le sentenze numero 126 del 19 dicembre 1968 e numero 147 del 3 dicembre 1969. La corte dichiarava illegittimi gli articoli 559 e 560 del codice penale in tema di adulterio e concubinato, affermando che questi articoli recavano “l’impronta di un’epoca nella quale la donna non godeva della stessa posizione sociale dell’uomo e vedeva riflessa la sua situazione di netta inferiorità nella disciplina dei diritti e doveri coniugali”.
Il codice infatti prevedeva che l’adulterio fosse sanzionabile solo se compiuto dalla moglie, mentre il marito poteva incorrere in sanzione solo se avesse accolto la “concubina” nella casa familiare oppure l’avesse collocata in un altro luogo noto. Con una legge del 1981 sono state finalmente abrogate le norme sul “matrimonio riparatore” e sul “delitto d’onore”.
Il “matrimonio riparatore” estingueva i reati sessuali compiuti contro una donna e il “delitto d’onore” (articolo 587 del codice penale) prevedeva un’attenuazione della pena per gli omicidi di donne compiuti da fratelli, padri o mariti, se la motivazione addotta fosse la scoperta della “illegittima relazione carnale ” o lo “stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia”. In tal caso, la sanzione poteva andare da tre a sette anni di carcere a fronte di una pena da ventiquattro a trent’anni nelle ipotesi comuni di uxoricidio.
Nel 2013 è stata approvata quella che i mezzi d’informazione chiamano “legge sul femminicidio”, la numero 119 del 15 ottobre 2013, in attuazione della convenzione di Istanbul. Con l’introduzione di nuove aggravanti e con la previsione di nuove misure coercitive per l’aggressore. Infine sono state concepite alcune norme per l’assistenza e la protezione delle vittime della violenza di genere.
. Nel 2019 il parlamento è intervenuto nuovamente sul tema, adottando altre misure per contrastare la violenza di genere con la cosiddetta legge sul codice rosso. La norma ha introdotto una particolare procedura d’urgenza per tutti i delitti di violenza domestica, di stalking e, più in generale, di abusi e maltrattamenti familiari.
Senza servizi-Il 13 gennaio 2020 il gruppo di esperti del Consiglio d’Europa per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne (Grevio) ha pubblicato il primo rapporto di valutazione sull’attuazione della convenzione di Istanbul in Italia. Nello studio il gruppo esorta le autorità italiane ad adottare misure più efficaci per proteggere le donne dalla violenza, pur accogliendo con favore l’adozione di nuove leggi innovative da parte del paese in particolare in materia di stalking, congedi speciali retribuiti per le lavoratrici vittime di violenza di genere e sostegno agli orfani delle vittime. Il rapporto indica, tuttavia, che molto resta ancora da fare.
Trenta associazioni italiane che si occupano di violenza sulle donne in contemporanea hanno stilato un rapporto alternativo che hanno trasmesso al Consiglio d’Europa, in cui fanno emergere le difficoltà principali nel contrasto alla violenza sulle donne: la distanza tra le norme adottate e la loro applicazione in concreto, l’applicazione disomogenea delle norme sul territorio nazionale, la mancanza strutturale di finanziamenti e di servizi per la prevenzione del fenomeno e per la protezione delle vittime come la presenza dei centri antiviolenza e delle case rifugio.
SONDAGGIO ISTAT SUI GIOVANI
Il sondaggio mostra anche che il lavoro per contrastare i pregiudizi è ancora lungo, al punto che il 15% degli adolescenti (il 21% tra i maschi e il 9% tra le ragazze) pensa che le vittime di violenza sessual epossano contribuire a provocarla con il loro modo di vestire e/o di comportarsi.
Nella percezione degli adolescenti l’aspetto fisico gioca ancora un ruolo fondamentale. Il 57% degli intervistati pensa che la bellezza femminile possa essere uno strumento per il successo (il dato maschile sale a 63%), una percezione che si conferma nel 46% degli intervistati che affermano che per le femmine essere attraenti è più importante che per i maschi (il 39% delle ragazze intervistate ne è convinta, percentuale che aumenta al 53% nei coetanei maschi).
C’è poi uno zoccolo duro di intervistati che pensa che affermarsi nel mondo del lavoro sia più importante per i maschi che non per le femmine (quasi il 40% dei maschi ne è convinto, contro il 21% delle ragazze), come anche avere un’istruzione universitaria sia più importante per un ragazzo che per una ragazza (è così per quasi 1 ragazza su 10 e quasi 1 ragazzo su 5).
Nel quotidiano le ragazze si scontrano con la realtà che le vede spesso nella condizione di sentirsi svantaggiate rispetto ai coetanei maschi. Oltre la metà di loro (54%) dichiara di essersi sentita svantaggiata per il solo fatto di essere una femmina, spesso o almeno qualche volta. Più di 2 adolescenti su 3 (64%), hanno sperimentato sulla propria pelle il disagio di fronte a comportamenti, commenti o avances subite da parte di adulti di riferimento, il 70% delle intervistate dichiara di aver subito molestie o apprezzamenti sessuali, quasi una su tre è stata palpeggiata in luoghi pubblici (31%).
Opera Magnasciutti.