Bolsonaro: politiche all’insegna dello “sfruttamento ragionevole” del polmone verde. L’atteggiamento del Presidente può mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Amazzonia.

Dall’inizio dell’anno ad oggi sono scomparsi 3.700 km² di foresta. In parte, questo dramma, è frutto dell’insediamento del governo Bolsonaro e delle sue politiche all’insegna dello “sfruttamento ragionevole” del polmone verde

Da tempo la superficie della foresta amazzonica non diminuiva a un ritmo così frenetico come quello che ha preso da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile. Secondo l’Inpe, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali – che si basa su misurazioni e immagini satellitari affidabili al 90% – dall’inizio dell’anno ad oggi si sono persi circa 3700 km² di foresta, pari a circa un quinto del Galles; 1250 di questi sono scomparsi solo nei primi 22 giorni di luglio. Il dato mostra un aumento superiore al 100% rispetto allo stesso periodo l’anno scorso ed è uno dei peggiori negli ultimi anni.

Secondo Bolsonaro si tratterebbe di fake news. “Io credo alla realtà e la realtà mi dice che se tutti i dati sulla deforestazione fossero veri, l’Amazzonia non esisterebbe più. Invece esiste ed è in salute”, ha detto di recente.
Cosa c’entra il governo Bolsonaro
Il fatto che la deforestazione dell’Amazzonia – o meglio, di una parte dell’Amazzonia: il 40% della foresta si trova fuori dai confini brasiliani – sia aumentata da quando Bolsonaro è diventato presidente non è un caso. L’ex generale ha ribadito più volte che bisogna sfruttare la foreste “in modo ragionevole” e, per questo motivo, ha rivisto alcune misure che, negli anni, avevano garantito l’esistenza e la sopravvivenza del polmone verde. All’inizio del suo mandato ha deciso, per esempio, di affidare le riserve indigene, che prime venivano gestite dalle popolazioni autoctone, al ministero dell’Agricoltura il cui interesse principale è far posto a coltivazioni come quelle della soia.

Bolsonaro ha poi una responsabilità indiretta. Come sottolinea New Scientist, in Brasile c’è una legge che vieta ai proprietari terrieri di disboscare più di un quinto dei loro possedimenti. Bolsonaro non ha modificato questa legge ma – come ha scoperto Carlos Rittl che lavora per Climate Observatory, un network di organizzazioni ambientali brasiliane – da quando è diventato presidente le operazioni del governo per assicurare l’applicazione di questa legge sono diminuite, da gennaio ad aprile, del 70%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questa impunità avrebbe indotto molti proprietari terrieri a non rispettare più il provvedimento e avrebbe quindi causato l’abbattimento di moltissimi alberi.

Secondo Erika Berenguer, una ricercatrice che lavora all’università di Oxford, il governo Bolsonaro è collegato alla deforestazione anche per un altro motivo. Il ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, che in passato ha espresso a più riprese dubbi sull’esistenza del cambiamento climatico, ha di recente gettato alcune ombre sul fondo per l’Amazzonia, un progetto finanziato dei governi norvegese e tedesco che negli ultimi 11 anni ha distribuito fondi alle associazioni che cercavano di prevenire la deforestazione. Salles, in particolare, ha detto che i soldi non vengono gestiti in maniera lecita, facendo pensare ad alcuni che il fondo verrà eliminato a breve.
Cosa bisogna aspettarsi
New Scientist fa notare che questi livelli di deforestazione sono comunque molto lontani da quelli registrati negli anni Ottanta e Novanta, quando ogni anno scomparivano decine di migliaia di km² di foresta e che, dal 2004 al 2018, il disboscamento è diminuito del 72%.

L’atteggiamento di Bolsonaro può però mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Amazzonia, causando danni globali. “Andare avanti con la deforestazione dell’Amazzonia significa rendere ancora più difficile la riduzione delle emissioni di CO2 ”, fa notare Mark Maslin dell’University College London. Chi rischia di più nel breve termine, invece, è la popolazione indigena che vive nella foresta. “Ormai credo sia in atto una vera e propria guerra”, ha detto Fiona Watson dell’associazione Survival International.

Josè tredicianni ,ha aperto un’ istituto di credito ,l’idea gli è venuta vedendo i suoi compagni arrivare a lezione con lo stomaco vuoto.

Arequida Peru’ ,José Adolfo Quisocala Condoriha soli sette anni quando apre una «banca», il Banco Cooperativo del Estudiante Barselana,le strade della sua città avevano i cestini pieni di carta e plastica che finiva nell’indifferenziata. e i suoi coetanei erano molto poveri. L’idea è semplice , i bambini portano alla sua banca i rifiuti che trovano a casa o in giro e in cambio ricevono un corrispettivo in denaro, che viene accreditato sul loro conto. Conto cui possono accedere soltanto loro, e non i genitori. Dove recupera quei soldi José? Grazie agli accordi sottoscritti con diverse aziende locali di riciclo, che offrono alla banca un prezzo più alto di quello che di norma viene pagato a chi conferisce rifiuti riciclabili. Non è però un affare in perdita, o pura beneficenza: in questo modo, infatti, ad Arequipa è aumentato notevolmente il tasso di raccolta e quindi anche il giro di affari delle stesse riciclerie mentre i bambini, spesso provenienti da famiglie e quartieri estremamente poveri, riescono a risparmiare qualcosa per il proprio futuro. Non solo. La banca di José, che oggi conta piùi 2000 «correntisti», offre loro anche corsi gratuiti di educazione finanziaria, imprenditorialità e gestione ambientale.

José racconta di aver iniziato con soli 15 dollari e 20 «correntisti».
«Il conto di risparmio viene aperto con un contributo iniziale di 6 chili di rifiuti, che equivalgono a 0,30 centesimi» spiega il giovanissimo bancario. «Siamo il primo Banco Cooperativo per ragazzi, ragazze, giovani e donne, un luogo di “alfabetizzazione economica” con la nostra Scuola di educazione finanziaria e manageriale. Il nostro obiettivo è quello di sradicare la povertà attraverso la cultura del risparmio e dell’imprenditorialità

Ricerche sul’importanza della filiera recupero e riciclo legno in Italia.

Riciclare il legno, nel nostro Paese vale 1,4 miliardi di euro, con la creazione di 6 mila posti di lavoro all’interno della filiera.

L’economia circolare, ossia quella che punta al riciclo di materiali dopo l’utilizzo, per crearne nuovi da immettere sul mercato, è una delle più importanti a sostegno dell’ambiente. In Italia, il ciclo economico legato al recupero e riciclo del legno-arredo è davvero all’avanguardia, portando il nostro Paese ad importanti traguardi e risultati anche a livello europeo. Di fatti, in Italia ogni anno si recuperano per il riciclo oltre 2 milioni di tonnellate di legno, provenienti da imballaggi e dalla raccolta differenziata urbana di legname. Si tratta di dati rilevati da una ricerca condotta dal Politecnico di Milano promossa da Rilegno, (cooperativa per il recupero e riciclo del legno che opera attraverso 400 piattaforme di raccolta legno) e FederlegnoArredo (associazione industriale in rappresentanza delle industrie della filiera del legno).
Perché riciclare il legno è importante

L’economia circolare legata al recupero e riciclo del legno, in Italia porta 1,4 milioni di euro con la creazione di 6 mila posti di lavoro ed un notevole risparmio del consumo di Co2. A differenza degli altri Paesi europei, che usano bruciare il legno post consumo per creare energia, in Italia, grazie al sistema Rilegno, è stato possibile recuperare e riutilizzare quasi il 30% degli imballaggi e riciclarne la parte restante. Questo ha permesso di creare pannelli destinati al’’arredo, riciclando il vecchio legname, invece di utilizzare legno vergine.

Questo ha anche consentito il risparmio di quasi 1 milione di tonnellate nel consumo di Co2, pari a quasi il 2% del Co2 prodotto complessivamente in Italia. Le attività della filiera del recupero e riciclo del legno post consumo, ha dunque avuto e continua ad avere un buon impatto ambientale, oltre che ad un buon impatto sull’economia e sulla produzione di occupazione. Questi i dati della ricerca condotta dal Politecnico di Milano “Il sistema circolare della filiera legno per una nuova economia”, promossa da Rilegno e FedelegnoArredo.
L’avanguardia italiana nella filiera recupero e riciclo del legno

L’Italia è uno dei paesi all’avanguardia nel campo dell’economia circolare recupero e riciclo del legno. Il sistema recupero e riciclo legno, in poco più di 20 anni, ha creato in Italia una nuova forma di economia sostenibile, con importanti risultati in termini di rispetto ambientale, ma anche di creazione di sviluppo ed occupazione. Dati importanti, se si pensa che gli altri paesi europei bruciano il legname post utilizzo per la creazione di energia. Il riciclo del legno, ha assicurato all’industria del mobile, attraverso la fornitura del pannello truciolare, una grande quantità di materia, senza dover consumare legno vergine, spiega il presidente di Rilegno Nicola Semerato.

Le aziende italiane di Legnoarredo, hanno essenzialmente intrapreso due strade per quanto riguarda la produzione eco sostenibile. Il primo percorso è quello legato al design e progettazione. Le aziende investono sempre di più sulla progettazione di prodotti fatti con materiali eco-sostenibili, riciclati e riciclabili, con un minore impatto per l’ambiente. Il secondo percorso riguarda la produzione, attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili per le attività di produzione stessa, e puntare allo smaltimento dei rifiuti in maniera tale da facilitarne il recupero. >In Italia, oltre il 95% del legno raccolto è riciclato, collocando la filiera italiana di recupero e riciclo legno tra le più avanzate al mondo,afferma Emanuele Orsini presidente Fla.
Necessità “interventi sulla fiscalità che incentivino le imprese al cambiamento”

I risultati raggiunti in Italia, in campo di economia circolare ed in particolare nella filiera recupero e riciclo legno sono lodevoli. Tuttavia, non è mai abbastanza, si può sempre migliorare ed investire in percorsi di cambiamento e miglioramento del settore progettazione e produzione. Bisogna pensare a prodotti differenti, sempre più eco sostenibili già nella fase di progettazione del prodotto stesso, attraverso uso di materiali particolari ed energie rinnovabili. Per arrivare ad un modello economico pienamente circolare, c’è bisogno di interventi politici e fiscali, che possano davvero incentivare le imprese al cambiamento. Emanuele Orsini: “occorrono interventi importanti sulla fiscalità che incentivino realmente le imprese al cambiamento”.