Esclusione zero e economia sociale, al Consorsio “Sale terra” Onlus.

Il Consorzio “Sale della Terra” ha creato una Rete dei Piccoli comuni Welcome, tra le cui azioni importante è il contrasto al depauperamento del capitale umano, coinvolgendo chi c’è e chi arriva in percorsi di sviluppo territoriale, che incidono sulla qualità di vita dei piccoli territori e sulla qualità occupazionale.
A Villa Mancini, in questa particolarissima oasi in provincia di Benevento, si raccolgono tutte le mattine una sessantina di uova fresche biologiche, di galline allevate tra la terra e il sole. E si fanno oggetti e bomboniere artigianali con materiali naturali, come il legno, la juta, il feltro.
Al Borgo Sociale di Roccabascerana, in provincia di Avellino, invece, si realizzano manufatti tessili e si raccolgono erbe mediche da utilizzare in tisane e infusi solidali, non particolarmente esotici ma del tutto privi del retrogusto del neocolonialismo. All’Orto di Casa Betania, di Benevento, si producono ortaggi che vengono raccolti direttamente davanti all’acquirente e all’Albergo Diffuso di Campolattaro, ancora nel Sannio, si punta a integrare cooperazione sociale e servizi turistici in maniera inclusiva.
In tutti questi luoghi, e nei centri Sprar gestiti dalla Caritas di Benevento, il consorzio Sale della terra onlus, composto da quattordici cooperative quasi tutte sociali con il sostegno etico di Caritas, realizza produzioni agricole e artigianali attraverso l’impegno di tante persone riconducibili principalmente a tre gruppi: migranti e rifugiati accolti negli Sprar, persone soggette a misure alternative alla detenzione, uomini e donne in situazione di fragilità psichica e familiare che partecipano a Progetti Terapeutici Riabilitativi Individualizzati (in breve Ptri). Hanno le storie più varie e singolari, caratterizzate da svantaggi e disagi, vissuti talvolta estremi e spesso dolorosi.

Le storie degli ospiti del Borgo Sociale sono a tratti eccezionali e, proprio nella loro eccezionalità, sono in grado di offrire spunti e insegnamento per tutti. Anche le esistenze più tranquille subiscono i condizionamenti di un’economia «drogata», di un turbocapitalismo che ruba all’anima tempo ed energie, ovvero libertà. Che ruba felicità. Forse è per questo che la più grande azienda di shopping online del mondo ha un logo che sorride: il consumismo promette di restituirci, ovviamente a pagamento, quella felicità rubata dal suo stesso sistema economico. A ben guardare, dietro la maggior parte dei prodotti gioiosamente proposti dalle pubblicità, in qualche punto della catena produttiva o distributiva, ci sono vessazioni, caporalato, sfruttamento minorile, torture agli animali negli allevamenti intensivi, agguerrite politiche di accaparramento delle risorse.
Dietro le piccole aziende indipendenti, dietro l’artigianato territoriale, dietro l’agricoltura relazionale, dietro l’economia sociale, dietro le produzioni del Sale della terra ci sono invece storie di vita e resistenza. «Lo scopo del consorzio – spiega Gabriella Debora Giorgione, che si occupa della comunicazione – è quello di utilizzare il processo produttivo di vino, olio o oggetti di artigianato per produrre prima di tutto coesione sociale. Per Antonio, Giuseppe e tutti gli altri una bomboniera non è un oggetto da cerimonia, è una rinascita personale. Ogni singolo oggetto prodotto è un pregiatissimo pezzo di una nuova esistenza».

E alle rinascite personali si accompagna spesso la rinascita di terre incolte e abbandonate, sottratte allo spopolamento e rese di nuovo feconde attraverso il ripristino di antichi vigneti e uliveti. Come i 15 mila metri quadri di terreno di Villa Mancini, recuperati assieme a un rudere che oggi è una casa accogliente e una fucina creativa. Tuttavia, il consorzio fatica a trovare nuove terre da affittare: un piccolo paradosso in una provincia rurale a sua volta segnata dall’emigrazione e dall’abbandono delle campagne.

Non sono molti, in verità, i migranti che approdano nel Sannio sognando di vivere in un piccolo paese appenninico. Accade così che Comuni ormai morenti registrino piccole crescite demografiche, scuole materne semiabbandonate tornino ad avere i numeri per aprire la sezione primavera. E paesi dell’entroterra campano diventino «Porti di terra», che poi è il nome del festival dell’accoglienza tenutosi a maggio nel Sannio, sull’onda del Manifesto dei Piccoli Comuni del Welcome con il quale la Caritas di Benevento ha proposto politiche di welfare locale a «esclusione zero», in grado di ridare fiato ai piccoli centri privi di risorse. E ora tocca ai Comuni, ai cittadini, ai proprietari terrieri, ai contadini: si aspettano altre terre, altri mondi da salvare.

Buone pratiche.Progetto un taglio alla violenza.

A Padova Coiffeur e Salone di bellezza gratis per le donne vittime di violenza.
A volte per sopravvivere, dopo la denuncia, devono abbandonare tutto, compreso il lavoro. Sparire in luoghi sicuri. Ricominciare. Una rinascita non facile, ma che può passare anche attraverso un momento di benessere e relax, dedicato alla bellezza. Per nutrire l’autostima ferita da anni di soprusi.
Annarita Elardo e Fabio Biasion Officine Creative Pathos di Padova hanno ideato:
«Un taglio alla violenza» progetto «Un taglio alla violenza» di Officine Creative Pathos di Padova in collaborazione con Centro Veneto Progetti Donna Onlus, il centro antiviolenza. Fabio Biasion di Officine Creative Pathos di Padova, che con Annarita Elardo ha ideato l’iniziativa – mettono a disposizione la loro attività gratuitamente per dare un segnale contro la violenza di genere. Ognuno può fare qualcosa per contrastare comportamenti violenti, persecutori e vessatori. Ogni cittadino, ogni commerciante, ogni imprenditore può diventare un baluardo, contribuendo in prima persona.
E il professionista rilancia anche ad altri commercianti l’idea di seguire il suo esempio e fare rete contro la violenza.
Patrizia Zantedeschi, psicologa e presidente del Centro Veneto Progetti Donna Onlus, plaude al gesto. E si augura che presto si crei questa auspicata «rete» di servizi e sostegno a chi ha subito violenza. Sarà il Centro antiviolenza, a fissare gli appuntamenti per le donne al Salone di bellezza Officine Creative Pathos, in modo che tutto si svolga nella più assoluta privacy. Le donne arriveranno quindi al Salone senza dover spiegare nulla e potranno usufruire gratis di ogni trattamento.
I numeri
«Le violenze contro le donne non accennano a diminuire. Il report annuale dei centri antiviolenza rivela che nel 2018 le segnalazioni in Veneto sono aumentate del 79%. E’ un dato grave. Tra l’altro chi si rivolge ai centri antiviolenza è solo una piccola percentuale di tutte quelle donne che vivono situazioni di violenza. Per questo è importante che anche la società e il territorio si mobilitino con iniziative come questa, che danno un segnale chiaro. Il commerciante che offre gratis un servizio, è come se dicesse: “Io sto dalla tua parte”. Anche questo è un modo per dire no alla violenza».Fabio Biasion conclude: «Prendersi cura del proprio aspetto con una pausa rilassante in un salone di coiffeur, è un momento di relax che porta benessere. Ci teniamo a regalarlo alle donne che hanno sofferto».

Curano l’orto per curare l’anima, alla Cooperativa la Piramide di Enna .

Bisogn andare ad Enna, per conoscere la splendida cooperativa La Piramide che sperimenta dal 1994 progetti e attività che possano favorire l’integrazione sociale dei ragazzi con disabilità psichica e cognitiva per coprire quegli spazi lasciati scoperti dal servizio sanitario pubblico.
Tre le finalità principali: creare centri di aggregazione per persone con disabilità mentale lieve, ; la seconda, in via di sperimentazione, è l’inclusione lavorativa attraverso un sistema di formazione e lavoro; la terza, in cantiere, è creare delle case-appartamento per rendere possibile una vita indipendente ai dieci ragazzi della cooperativa. È nell’ambito dei progetti di inclusione lavorativa che La Piramide ha puntato sulla vocazione naturale di Enna ad essere un territorio prevalentemente agricolo.

Al centro del progetto c’è l’ortoterapia, praticata su un terreno di 2500 mq dato in comodato d’uso alla cooperativa La Piramide dalla famiglia Riccobbene, «su cui i nostri dieci ragazzi e altri sei del distretto sociosanitario di Enna, con la guida dei nostri agronomi e la collaborazione dell’Istituto Agrario di Enna, stanno imparando a prendersi cura di alberi secolari e di una specie particolare di pero che produce le “pere della Madonna” tipiche di questa zona e purtroppo in via di estinzione». I ragazzi hanno imparato a riconoscere le piante e a prendersene cura, a preparare il terreno, seminare e piantare alberi nuovi, a concimare, ma anche a contenere le erbe infestanti e potare le rose. Perché «coltivando una rosa può rifiorire un’anima», questo è il motto del GeoLab, che diventerà un laboratorio didattico permanente aperto alle scuole e alla città, in cui saranno i ragazzi del workshop a fare da insegnanti ai nuovi partecipanti.
L’ortoterapia ha un forte valore riabilitativo perché, sotto la guida dei nostri psicoterapeuti, riduce l’uso di medicine, aiuta i ragazzi con fragilità mentali a maturare consapevolezza e stima di sé e a recuperare attività cui non erano più abituati, e li aiuta anche ad acquisire conoscenze e una formazione utile per entrare nel mondo del lavoro,l’importante ruolo della comunità nell’ambito di percorsi di inclusione che valorizzano la dignità di questi ragazzi con l’inserimento lavorativo e l’obiettivo di una vita indipendente.

Bolsonaro: politiche all’insegna dello “sfruttamento ragionevole” del polmone verde. L’atteggiamento del Presidente può mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Amazzonia.

Dall’inizio dell’anno ad oggi sono scomparsi 3.700 km² di foresta. In parte, questo dramma, è frutto dell’insediamento del governo Bolsonaro e delle sue politiche all’insegna dello “sfruttamento ragionevole” del polmone verde

Da tempo la superficie della foresta amazzonica non diminuiva a un ritmo così frenetico come quello che ha preso da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile. Secondo l’Inpe, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali – che si basa su misurazioni e immagini satellitari affidabili al 90% – dall’inizio dell’anno ad oggi si sono persi circa 3700 km² di foresta, pari a circa un quinto del Galles; 1250 di questi sono scomparsi solo nei primi 22 giorni di luglio. Il dato mostra un aumento superiore al 100% rispetto allo stesso periodo l’anno scorso ed è uno dei peggiori negli ultimi anni.

Secondo Bolsonaro si tratterebbe di fake news. “Io credo alla realtà e la realtà mi dice che se tutti i dati sulla deforestazione fossero veri, l’Amazzonia non esisterebbe più. Invece esiste ed è in salute”, ha detto di recente.
Cosa c’entra il governo Bolsonaro
Il fatto che la deforestazione dell’Amazzonia – o meglio, di una parte dell’Amazzonia: il 40% della foresta si trova fuori dai confini brasiliani – sia aumentata da quando Bolsonaro è diventato presidente non è un caso. L’ex generale ha ribadito più volte che bisogna sfruttare la foreste “in modo ragionevole” e, per questo motivo, ha rivisto alcune misure che, negli anni, avevano garantito l’esistenza e la sopravvivenza del polmone verde. All’inizio del suo mandato ha deciso, per esempio, di affidare le riserve indigene, che prime venivano gestite dalle popolazioni autoctone, al ministero dell’Agricoltura il cui interesse principale è far posto a coltivazioni come quelle della soia.

Bolsonaro ha poi una responsabilità indiretta. Come sottolinea New Scientist, in Brasile c’è una legge che vieta ai proprietari terrieri di disboscare più di un quinto dei loro possedimenti. Bolsonaro non ha modificato questa legge ma – come ha scoperto Carlos Rittl che lavora per Climate Observatory, un network di organizzazioni ambientali brasiliane – da quando è diventato presidente le operazioni del governo per assicurare l’applicazione di questa legge sono diminuite, da gennaio ad aprile, del 70%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questa impunità avrebbe indotto molti proprietari terrieri a non rispettare più il provvedimento e avrebbe quindi causato l’abbattimento di moltissimi alberi.

Secondo Erika Berenguer, una ricercatrice che lavora all’università di Oxford, il governo Bolsonaro è collegato alla deforestazione anche per un altro motivo. Il ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, che in passato ha espresso a più riprese dubbi sull’esistenza del cambiamento climatico, ha di recente gettato alcune ombre sul fondo per l’Amazzonia, un progetto finanziato dei governi norvegese e tedesco che negli ultimi 11 anni ha distribuito fondi alle associazioni che cercavano di prevenire la deforestazione. Salles, in particolare, ha detto che i soldi non vengono gestiti in maniera lecita, facendo pensare ad alcuni che il fondo verrà eliminato a breve.
Cosa bisogna aspettarsi
New Scientist fa notare che questi livelli di deforestazione sono comunque molto lontani da quelli registrati negli anni Ottanta e Novanta, quando ogni anno scomparivano decine di migliaia di km² di foresta e che, dal 2004 al 2018, il disboscamento è diminuito del 72%.

L’atteggiamento di Bolsonaro può però mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Amazzonia, causando danni globali. “Andare avanti con la deforestazione dell’Amazzonia significa rendere ancora più difficile la riduzione delle emissioni di CO2 ”, fa notare Mark Maslin dell’University College London. Chi rischia di più nel breve termine, invece, è la popolazione indigena che vive nella foresta. “Ormai credo sia in atto una vera e propria guerra”, ha detto Fiona Watson dell’associazione Survival International.

Josè tredicianni ,ha aperto un’ istituto di credito ,l’idea gli è venuta vedendo i suoi compagni arrivare a lezione con lo stomaco vuoto.

Arequida Peru’ ,José Adolfo Quisocala Condoriha soli sette anni quando apre una «banca», il Banco Cooperativo del Estudiante Barselana,le strade della sua città avevano i cestini pieni di carta e plastica che finiva nell’indifferenziata. e i suoi coetanei erano molto poveri. L’idea è semplice , i bambini portano alla sua banca i rifiuti che trovano a casa o in giro e in cambio ricevono un corrispettivo in denaro, che viene accreditato sul loro conto. Conto cui possono accedere soltanto loro, e non i genitori. Dove recupera quei soldi José? Grazie agli accordi sottoscritti con diverse aziende locali di riciclo, che offrono alla banca un prezzo più alto di quello che di norma viene pagato a chi conferisce rifiuti riciclabili. Non è però un affare in perdita, o pura beneficenza: in questo modo, infatti, ad Arequipa è aumentato notevolmente il tasso di raccolta e quindi anche il giro di affari delle stesse riciclerie mentre i bambini, spesso provenienti da famiglie e quartieri estremamente poveri, riescono a risparmiare qualcosa per il proprio futuro. Non solo. La banca di José, che oggi conta piùi 2000 «correntisti», offre loro anche corsi gratuiti di educazione finanziaria, imprenditorialità e gestione ambientale.

José racconta di aver iniziato con soli 15 dollari e 20 «correntisti».
«Il conto di risparmio viene aperto con un contributo iniziale di 6 chili di rifiuti, che equivalgono a 0,30 centesimi» spiega il giovanissimo bancario. «Siamo il primo Banco Cooperativo per ragazzi, ragazze, giovani e donne, un luogo di “alfabetizzazione economica” con la nostra Scuola di educazione finanziaria e manageriale. Il nostro obiettivo è quello di sradicare la povertà attraverso la cultura del risparmio e dell’imprenditorialità

Ricerche sul’importanza della filiera recupero e riciclo legno in Italia.

Riciclare il legno, nel nostro Paese vale 1,4 miliardi di euro, con la creazione di 6 mila posti di lavoro all’interno della filiera.

L’economia circolare, ossia quella che punta al riciclo di materiali dopo l’utilizzo, per crearne nuovi da immettere sul mercato, è una delle più importanti a sostegno dell’ambiente. In Italia, il ciclo economico legato al recupero e riciclo del legno-arredo è davvero all’avanguardia, portando il nostro Paese ad importanti traguardi e risultati anche a livello europeo. Di fatti, in Italia ogni anno si recuperano per il riciclo oltre 2 milioni di tonnellate di legno, provenienti da imballaggi e dalla raccolta differenziata urbana di legname. Si tratta di dati rilevati da una ricerca condotta dal Politecnico di Milano promossa da Rilegno, (cooperativa per il recupero e riciclo del legno che opera attraverso 400 piattaforme di raccolta legno) e FederlegnoArredo (associazione industriale in rappresentanza delle industrie della filiera del legno).
Perché riciclare il legno è importante

L’economia circolare legata al recupero e riciclo del legno, in Italia porta 1,4 milioni di euro con la creazione di 6 mila posti di lavoro ed un notevole risparmio del consumo di Co2. A differenza degli altri Paesi europei, che usano bruciare il legno post consumo per creare energia, in Italia, grazie al sistema Rilegno, è stato possibile recuperare e riutilizzare quasi il 30% degli imballaggi e riciclarne la parte restante. Questo ha permesso di creare pannelli destinati al’’arredo, riciclando il vecchio legname, invece di utilizzare legno vergine.

Questo ha anche consentito il risparmio di quasi 1 milione di tonnellate nel consumo di Co2, pari a quasi il 2% del Co2 prodotto complessivamente in Italia. Le attività della filiera del recupero e riciclo del legno post consumo, ha dunque avuto e continua ad avere un buon impatto ambientale, oltre che ad un buon impatto sull’economia e sulla produzione di occupazione. Questi i dati della ricerca condotta dal Politecnico di Milano “Il sistema circolare della filiera legno per una nuova economia”, promossa da Rilegno e FedelegnoArredo.
L’avanguardia italiana nella filiera recupero e riciclo del legno

L’Italia è uno dei paesi all’avanguardia nel campo dell’economia circolare recupero e riciclo del legno. Il sistema recupero e riciclo legno, in poco più di 20 anni, ha creato in Italia una nuova forma di economia sostenibile, con importanti risultati in termini di rispetto ambientale, ma anche di creazione di sviluppo ed occupazione. Dati importanti, se si pensa che gli altri paesi europei bruciano il legname post utilizzo per la creazione di energia. Il riciclo del legno, ha assicurato all’industria del mobile, attraverso la fornitura del pannello truciolare, una grande quantità di materia, senza dover consumare legno vergine, spiega il presidente di Rilegno Nicola Semerato.

Le aziende italiane di Legnoarredo, hanno essenzialmente intrapreso due strade per quanto riguarda la produzione eco sostenibile. Il primo percorso è quello legato al design e progettazione. Le aziende investono sempre di più sulla progettazione di prodotti fatti con materiali eco-sostenibili, riciclati e riciclabili, con un minore impatto per l’ambiente. Il secondo percorso riguarda la produzione, attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili per le attività di produzione stessa, e puntare allo smaltimento dei rifiuti in maniera tale da facilitarne il recupero. >In Italia, oltre il 95% del legno raccolto è riciclato, collocando la filiera italiana di recupero e riciclo legno tra le più avanzate al mondo,afferma Emanuele Orsini presidente Fla.
Necessità “interventi sulla fiscalità che incentivino le imprese al cambiamento”

I risultati raggiunti in Italia, in campo di economia circolare ed in particolare nella filiera recupero e riciclo legno sono lodevoli. Tuttavia, non è mai abbastanza, si può sempre migliorare ed investire in percorsi di cambiamento e miglioramento del settore progettazione e produzione. Bisogna pensare a prodotti differenti, sempre più eco sostenibili già nella fase di progettazione del prodotto stesso, attraverso uso di materiali particolari ed energie rinnovabili. Per arrivare ad un modello economico pienamente circolare, c’è bisogno di interventi politici e fiscali, che possano davvero incentivare le imprese al cambiamento. Emanuele Orsini: “occorrono interventi importanti sulla fiscalità che incentivino realmente le imprese al cambiamento”.

Rispetta l’ambiente ,sostituisci la plastica con: Apepak,imballaggio alla cera d’api.

La produzione di Apepak si svolge interamente in Italia e, in particolare, in provincia di Treviso ad opera della cooperativa sociale Sonda.
Trovare una o più alternative alla plastica è un’esigenza che nasce anche dalla complessità e dalle tempistiche necessarie per poterla smaltire. Ad esempio, per poter una bottiglietta di plastica sono necessari fino a 1000 anni.L’esigenza di virare verso una spesa e una vita “plastic free” è stata recepita anche dalla Commissione Europea che, negli ultimi anni, ha dedicato sempre maggiori sforzi a una riduzione della produzione e dell’uso di plastica in tutta l’Unione. Una delle prime direttive, accolta non senza polemiche, ha reso obbligatori i sacchetti biodegradabili per la frutta e la verdura in tutti i supermercati.

Un’alternativa è quella realizzata da Massimo Massarotto, nata da una sua personale attenzione al problema dell’inquinamento ambientale. “Io e mia moglie viviamo da 3 anni in California, dove esiste una sensibilità specifica ai temi dell’ecologia, e siamo sempre stati ambientalisti.

Massimo e Molly hanno dato vita al progetto Apepak, che ha visto lo sviluppo e la produzione di un involucro strutturato specificatamente per gli alimenti e perfettamente riutilizzabile e biodegradabile. “L’idea della pezza – ci spiega Massarotto – è nata da mia moglie. Lei già utilizzava un prodotto simile di fattura americana e, in maniera molto naive, ha avuto l’idea di produrne qualcuna in casa a Natale di un anno e mezzo fa da mandare alla famiglia in Italia come regalo.” L’obiettivo era, semplicemente, sensibilizzare amici e parenti a una pratica ecologica, ma il panno si è rivelato non solo gradito e utile. “Sono stati proprio loro a proporci di introdurre questo prodotto in Italia dove non esisteva. Why not? Abbiamo lavorato un anno per creare la struttura di produzione e di vendita, finché non abbiamo lanciato effettivamente il brand lo scorso luglio”.
Per poter realizzare un prodotto 100% sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che umano, è stato necessario selezionare con attenzione i materiali e gli “ingredienti” da utilizzare :

cera d’api
resina di pino
olio di jojoba.

“Scegliere la cera d’api – spiega il fondatore di Apepak – è stato naturale. La cera d’api è un prodotto miracoloso: antisettica di per sé, non va mai a male, è già certificata per il contatto con il cibo e ha delle proprietà che si sposano con l’organicità del prodotto. Grazie al calore delle mani, infatti, si attiva, per cui quando usi Apepak per avvolgere un panino oppure un frutto, fai un risvolto e si sigilla.”

Lo scopo della resina di pino, invece, è quello di fissare la cera d’api, “naturalmente bisogna stare attenti quando si lava la pezza, sempre in acqua fredda.” Infine, c’è l’olio di jojoba che importato dalla Gran Bretagna, ma sempre da fornitori selezionati in base a criteri etici e solidali. “In generale – spiega Massarotto – siamo in costante ricerca per rendere più sostenibile la produzione. La cera d’api, infatti, non è una risorsa infinita e potrebbe portare a dei problemi in futuro, mentre l’olio di jojoba non è a km zero e ci piacerebbe trovare un’alternativa per abbattere l’impatto ambientale del trasporto. Le domande sono tante per poter mantenere la pratica il più etica possibile”.
È certificato per l’uso sicuro per gli alimenti come, ad esempio, spezie, insalata, pane, frutta, frutta secca. “Lo proponiamo in diverse misure per poter coprire un piatto con gli avanzi del pranzo, oppure per portare uno snack al lavoro o anche per conservare il pane.” È sconsigliato, invece, per la carne cruda oppure per il pesce, che rilasciano succhi che potrebbero danneggiare la pezza e renderla più difficile da lavare.

“Dal nostro punto di vista e secondo la nostra esperienza, consigliamo di utilizzare una pezza differente per ogni tipologia d’uso. Ad esempio, una solo per il pane, una solo per gli avanzi e via dicendo.” Così, ci spiega Massarotto, è possibile conservare l’Apepak il più a lungo possibile, lavandolo in acqua fredda, con un sapone naturale e una spugnetta, anche più di un anno. “Non è necessario farlo a ogni utilizzo, una volta ogni due o tre settimane è sufficiente. A fine vita, si può gettare nell’umido a seconda delle regole comunali: in meno di quattro anni sarà completamente smaltita”

La produzione di Apepak si svolge interamente in Italia e, in particolare, in provincia di Treviso ad opera della cooperativa sociale Sonda. “Riceviamo – spiega il CEO – i rotoli di cotone alti, solitamente, 1,50 m e lunghi circa 200 metri. Vengono posizionati su un tavolo, tagliati a mano grazie a delle forbici zigrinate perché il tessuto non si sfilacci. Le pezze vengono poi posizionate su un’altra postazione, dove c’è una stazione di caratura: qui, manualmente, viene applicata la cera con la resina e l’olio. Una volta asciugate, sono pronte per passare al confezionamento dentro al packaging.”
Sostenibilità sociale, in collaborazione con Sonda, Società Cooperativa Sociale Onlus

Non è un caso che nella produzione sia stata coinvolta una cooperativa che opera sul territorio coinvolgendo persone in situazione di marginalità e svantaggio come, per esempio, soggetti con problematiche di dipendenza e persone con disabilità, la maggior parte giovani che possono così inserirsi in progetti di integrazione sociale.

“Siccome il prodotto è quello che in inglese si dice “no brainer”, ovvero che appena lo capisci non hai dubbi sulla sua efficacia, il successo è quasi assicurato. Ci siamo chiesti allora perché non condividerlo con le persone che hanno più difficoltà. Ho pensato subito a Sonda, perché conoscevo Francesca Amato, vice presidente della cooperativa, e sapevo che lavoravano all’assemblamento e produzione di carta per varie aziende del territorio”. Così è nata la collaborazione per la produzione di Apepak che fosse etica in ogni passaggio della filiera: “ci interessava – aggiunge avere un prodotto che fosse giusto da tutti i punti di vista.”
L’innovazione di Apepak ha attirato l’attenzione anche di alcuni supermercati che, come ci spiega il fondatore, hanno contattato l’azienda per poter creare degli involucri per gli alimenti venduti direttamente con le pezze di cera d’api. In futuro, dunque, Apepak si potrà acquistare nei supermercati, per ora è disponibile sul sito dell’azienda e in alcuni punti vendita specifici in diverse parti d’Italia.Allora affrettiamoci a comprarlo!!!

Intervista di Vinicio Bottacchiari

Testamento sociale.Giuseppe Verdi, lasciò il suo patrimonio ad asili e istituti per ciechi, sordomuti .

In Italia solo l’8% della popolazione affida a un testo scritto le proprie ultime volontà. Ma negli ultimi dieci anni le donazioni post mortem a favore di organizzazioni no profit sono aumentate del 10-15%. Oggetto del lascito può essere una somma di denaro ma anche un’opera d’arte, un gioiello, un mobile, un appartamento o una polizza vita. E se il destinatario è un’associazione senza scopo di lucro non si pagano tasse di successione

Alessandro Manzoni incluse nel suo testamento il suo servitore. Giuseppe Verdi, in mancanza di eredi diretti, lasciò il suo patrimonio ad asili e istituti per ciechi, sordomuti e rachitici. Non è una novità, quella di dare in beneficenza una parte dei propri beni dopo la morte. Ma oggi più che mai può diventare una fonte di finanziamento importante per le onlus. Le “ultime volontà” possono consentire per esempio di costruire un pozzo in un Paese povero, contribuire all’acquisto di libri di testo o vaccini, favorire la ricerca su leucemia e cancro, aiutare persone con disabilità.
Negli ultimi dieci anni le donazioni testamentarie a favore di organizzazioni no profit sono aumentate del 15%, secondo i dati raccolti dal comitato in collaborazione con il Consiglio nazionale del Notariato. Da un sondaggio condotto su un campione di 700 notai, le più propense a fare donazioni post mortem risultano le donne, oltre il 60% del totale. Nella metà dei casi il valore è sotto i 20mila euro, ma c’è anche un 8,5% di testamenti in cui i lasciti superano i 100mila euro. L’iniziativa Testamento solidale passa innanzitutto attraverso la sensibilizzazione sull’utilizzo del testamento: in Italia lo fa solo l’8% della popolazione. Una percentuale di molto inferiore, per esempio, al 48% della Gran Bretagna, dove la mancanza dell’obbligo di lasciare una quota di legittima a coniuge e figli, presente invece da noi, spinge a mettere nero su bianco la propria volontà ultima.
Come fare il testamento? – Per lasciare parte dei propri beni in beneficenza bisogna indicare tale volontà nel testamento. In Italia ci sono tre modi per farlo. Il testamento olografo è un documento scritto obbligatoriamente a mano con tanto di data e firma, che può essere conservato in casa da chi lo scrive oppure affidato a una persona di fiducia o a un notaio. Il testamento pubblico invece viene redatto dal notaio che mette per iscritto le volontà in presenza di due testimoni: l’interessato viene così aiutato a dare disposizioni che siano a norma di legge. Infine il testamento segreto, utilizzato di rado, è caratterizzato dall’assoluta riservatezza sul contenuto: viene consegnato in una busta chiusa già sigillata o da sigillare al notaio, sempre davanti a due testimoni e i dettagli non saranno noti a nessuno fino a morte sopravvenuta. Qualsiasi sia il tipo di testamento che si è scelto di fare, le disposizioni testamentarie possono essere revocate, modificate o aggiornate più volte e fino all’ultimo momento di vita. È sufficiente redigere un nuovo testamento nel quale si usa una formula del tipo: “Revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria”.

Quanto si può lasciare a una onlus? – Non tutti i beni possono essere lasciati in beneficenza dopa la morte, visto che le norme italiane tutelano gli eredi legittimari, ovvero i parenti più stretti: il coniuge, i figli e in loro mancanza i genitori. A loro è riservata per legge una quota, detta legittima, che varia a seconda della composizione familiare. Per esempio in presenza di un coniuge e di un solo figlio a entrambi deve andare almeno un terzo del patrimonio totale, nel cui computo si considerano anche eventuali donazioni effettuate in vita. Se non ci sono figli, al coniuge deve andare almeno la metà dei beni. Il resto costituisce la quota disponibile, che non è mai inferiore a un quarto del patrimonio e che può essere lasciata, in tutto o in parte, ad altri soggetti che non siano gli eredi legittimari.

Che cosa si può donare con un lascito solidale? – Inserire nel proprio testamento un lascito solidale non è per forza una cosa da ricchi: “Anche una somma di denaro relativamente piccola, come 5mila euro, è molto utile”, spiega Rossano Bartoli, portavoce del comitato Testamento Solidale e segretario generale della Lega del Filo d’Oro. Qualsiasi donazione è ben accetta, al di là del suo valore. E della sua tipologia: si possono lasciare somme di denaro, azioni, titoli d’investimento oppure altri beni mobili come un’opera d’arte, un gioiello o un mobile di valore, ma anche beni immobili come un appartamento. Oppure si può indicare una onlus come beneficiaria di una polizza vita. Ma quanto finisce nelle casse degli enti no profit? “Il dato varia da organizzazione a organizzazione. E di anno in anno”, risponde Bartoli. “La Lega del Filo d’Oro per esempio riceve ogni anno tra i 40 e i 50 lasciti, per un valore complessivo che varia da un minimo di 3 a un massimo di 10 milioni di euro”.

Si possono imporre vincoli sull’utilizzo del bene? – Il lascito che si fa a una onlus può essere vincolato a un particolare utilizzo del bene. Una pratica che a volte rischia però di mettere in difficoltà l’organizzazione: “Può capitare che venga lasciato un alloggio con l’obbligo di utilizzarlo per esempio come sede di una comunità. Tali richieste non sempre sono realizzabili e in tal caso la onlus può decidere di rinunciare a quanto le è stato assegnato”, spiega Bartoli. Per evitare questo rischio il consiglio è di “contattare prima l’associazione in modo da valutare insieme quali condizioni sull’utilizzo futuro del lascito possano essere rispettate e quali no”.

Che garanzie ha chi fa testamento? – Lasciare un bene a una onlus. Ma che garanzie ci sono sul rispetto della propria volontà? “Una cautela da avere è quella di nominare un esecutore testamentario, ovvero una persona che controlla l’esatta esecuzione delle disposizioni contenute nel testamento e che in caso contrario si rivolge al giudice”, risponde Albino Farina, responsabile dei rapporti con il Terzo settore per il Consiglio nazionale del Notariato. “Di solito questo compito viene affidato a un erede, a un parente o a una persona di fiducia”. Una funzione di controllo la possono avere anche i parenti, che hanno tutto l’interesse a verificare nel tempo il rispetto della volontà di chi ha fatto testamento, altrimenti possono impugnarlo e ricevere loro stessi i beni destinati all’ente no profit. In mancanza di un esecutore testamentario o di una persona portatrice di un interesse diretto, però, è difficile che ci sia un reale controllo. “In tal caso – commenta Bartoli – a garanzia del rispetto di quanto disposto nel testamento c’è solo la serietà dell’ente che ha ricevuto il lascito”.

E le tasse? – Sui lasciti a enti no profit o a enti pubblici non si paga alcuna imposta di successione. Una condizione privilegiata, visto che coniuge e figli hanno una franchigia di un milione di euro ciascuno, oltre la quale versano un’imposta del 4 per cento. Condizioni che diventano più sfavorevoli man mano che la parentela diventa meno stretta: per fratelli e sorelle, per esempio, la franchigia scende a 100mila euro, mentre l’aliquota sale al 6. L’esenzione dalle imposte di successione per il momento vale solo per le organizzazioni no profit italiane e per quelle dei Paesi dell’Ue che concedono esenzioni analoghe alle onlus del nostro Paese. La Commissione europea ritiene però che tale esenzione vada estesa alle organizzazioni no profit di tutti gli Stati membri. Per questo di recente ha chiesto all’Italia di modificare la propria normativa.

La carta del futuro?Sarà prodotta dalla paglia di grano.

Addio cellulosa, la carta usa e getta (come i fazzolettini) presto potrebbe diventare sostenibile all’origine. Come? Sostutiendo l’uso della cellulosa con scarti di materie agricole, ricavate dalla paglia di grano. Stando a quanto si legge su Il Sole 24 Ore, è proprio questa l’intenzione di Essity, azienda nota come Sca, che produce alcuni brand famosi come Tena, Nuvenia e Tempo. Al momento per la produzione di carta già vengono utilizzati tutolo di mais, pastazzo di grumi e scarti del caffè: il tutto grazie alla collaborazione di Essity Italia con la cartiera Favini. La vera novità, quindi, sono gli scarti del grano: la produzione sarà avviata in Germania, a Mannheim, dov’è localizzato uno stabilimento apposito.
Nel 2020 al via la produzione a livello industriale?
Il progetto, per ora, è in fase di test ma entro il 2020, comunque, dovrebbe essere avvita la produzione a livello industriale. Una valida alternativa ,per rispettare gli alberi e preservarli, una piccola cosa ,ma tante piccole cose insieme possono fare un cambiamento , ora che il polmone modiale “l’Amazzoina”è minacciata dal presidente brasiliano Bolsonaro ,per favorire proprietari terrieri e grandi allevatori.Adesso attendiamo la canapa , perchè è tenuta sotto stretta osservazione da Essity. Tante piccole gocce insieme possono fare un temporale.